Tra due mondi

La seconda generazione e il senso di appartenenza
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Tra due mondi

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Chi sono le seconde generazioni?
Con il termine “seconde generazioni” si intendono i figli di stranieri nati in Italia o giunti nei primi anni di vita. L’espressione è di origine anglosassone: first generation e second generation sono stati utilizzati per la prima volta all’inizio del Novecento nelle ricerche della cosiddetta Scuola sociologica di Chicago.
In Italia di seconde generazioni si inizia a parlare solo un secolo più tardi, da quando nel nostro paese inizia una profonda trasformazione demografica passando da un luogo di emigrazione a uno di immigrazione. Se negli anni Novanta i figli di stranieri nati in Italia erano solo poche migliaia, al 1° gennaio 2024 i residenti stranieri in Italia tra gli 11 e i 19 anni sono circa 500.000, comprese le nuove generazioni nate in Italia da genitori stranieri (dati Istat).

Italiano, straniero, o una via di mezzo?
“Da dove vieni?” può sembrerà una delle domande più facili a cui rispondere, ma non è così per tutti. I giovani di seconda generazione, infatti, si trovano in una condizione del tutto particolare.
Molti di loro conoscono pochissimo il paese di origine, ma ne portano i caratteri somatici come il colore della pelle, e per questo vengono automaticamente considerati stranieri o immigrati.
Allo stesso tempo, quando visitano il paese dei loro genitori vengono considerati come occidentali per via del loro abbigliamento e abitudini.
Ciò crea una difficoltà nel definire la propria identità culturale. Rimangono legati ai valori e alle tradizioni della cultura familiare ma al contempo vivono in una società che trasmette norme e principi differenti. Tale dualismo spesso genera un senso di mancata appartenenza in entrambi i contesti, rendendo difficile sentirsi pienamente integrati nella comunità in cui vivono ma allo stesso tempo distanti dalla cultura di origine.
Questo fenomeno viene chiamato “doppia appartenenza culturale” e può generare una serie di conflitti interiori e difficoltà sociali e relazionali.
Quali sono i conflitti più frequenti tra la cultura d’origine e quella di destinazione? Si tratta di azioni semplici come vestirsi in un determinato modo, non praticare una certa religione, voler stabilire una relazione con una persona non della comunità di origine.

La diversità – questione di etichette
Il conflitto interiore di questa generazione affonda le radici nella percezione che hanno di loro gli adulti.
In alcune culture, come per esempio quella nordafricana, la reputazione all’interno della propria comunità ha un’importanza fondamentale per le persone. L’opinione degli altri ha addirittura una precedenza anche sulla felicità propria e quella dei propri familiari. Infatti, anche se i genitori possono eventualmente capire le difficoltà dei figli e il loro desiderio di avvicinarsi alla cultura italiana, non sono disposti ad accettarli per il timore di essere rifiutati a loro volta. La vergogna di avere dei figli considerati in qualche modo “diversi” diventa un peso difficile da sopportare.
Quando si tratta dell’accettazione della diversità tra i genitori e i figli si instaurano dinamiche anche di un altro tipo. Ne parla Roberta Radich, psicologa e psicoterapeuta in un’intervista a Rione Fontana.

“Parto dai ragazzi e in particolare dalla cosiddetta seconda generazione subito precisando che assieme agli operatori in questi anni abbiamo cercato di proporre una riformulazione linguistica perché l’idea stessa di seconda generazione ci sembrava stigmatizzante.
A ben pensarci, infatti, esiste sì una prima e una seconda generazione, ma di italiani e stranieri. In fondo noi vecchi siamo la prima generazione che ha cominciato a convivere in uno stesso territorio con persone provenienti da altri paesi, e oggi ci sono i ragazzi di seconda generazione -sia italiani che stranieri- che si trovano a convivere quotidianamente tra culture diverse.
Molti ragazzi italiani a casa sentono discorsi, non dico razzisti, però non particolarmente favorevoli agli stranieri. Gli stereotipi sugli stranieri come persone socialmente pericolose o comunque portatrici di problemi e difficoltà persiste.”

Possiamo concludere che spesso sono i genitori ad avere dei limiti nell’accettare il diverso, e non i figli.
La convivenza e l’amicizia tra italiani e ragazzi provenienti da altri paesi oggi è un dato di fatto, per quanto venga poco riconosciuto ed approvato dagli adulti. Nei fatti i ragazzi si frequentano davvero quotidianamente, a scuola, nello sport, nei locali, nei parchi, e in tutti i luoghi di convivenza normale.

Uno, nessuno e centomila
Di fronte a un bivio quali sono le risposte dei giovani delle seconde generazioni? Abbracciare pienamente la cultura del paese che li ha accolti, mantenere quella dei propri genitori, oppure trovare una via di mezzo che includa elementi di entrambe le culture?
Per avere una testimonianza diretta su come si sentono oggi le seconde generazioni abbiamo fatto la fatidica domanda “Ma da dove vieni (davvero)?” ad Eman, Ayasha e Hijab, tre ragazze originarie del Pakistan che abitano nelle case di prima accoglienza gestite da Open Group, vicino alla nostra sede in via della Beverara.
Eman, 14 anni, e sua sorella Ayasha, 17, sono arrivate in Italia nove anni fa e da allora non sono più tornate in Pakistan. Quando abbiamo chiesto se si sentissero più pakistane o italiane la loro risposta unanime è stata “italiane!”, e se qualcuno per strada vi chiede di dove siete, cosa rispondete? “del Pakistan”, ci rispondono sorridendo. Cominciamo a capire la complessità della loro situazione quando al dialogo si aggiunge Hijab, una loro amica diciottenne che vive in Italia da otto: “Io mi sento a metà. Sono tornata in Pakistan quattro volte, e lì continuo a sentirmi abbastanza a casa. Però la società è più chiusa, le ragazze non possono uscire da sole. Qui in Italia mi sento più libera.”

E così, mentre ci immergiamo man mano nel loro mondo, la nostra percezione di dualità diventa sempre più forte. Tre ragazze solari, con sogni del tutto occidentali come quelli di diventare imprenditrice, pilota d’aereo oppure avvocato, che al contempo indossano dei colorati hijab che coprono capelli e spalle.
A qualsiasi domanda poniamo, come ad esempio qual è il loro piatto preferito o la festività più importante, le ragazze rispondono subito con un’altra domanda: “italiano o pakistano?”.
Vivono in un mondo doppio, intrecciato, dove non esiste una risposta unica ma tutto dipende dal contesto. Così in famiglia si sentono più pakistane, mentre a scuola, in biblioteca o quando escono con le amiche più italiane.
Insomma, una fusione di culture e tradizioni, che a prima vista ci appare confusionaria e perciò ci disorienta. Dalle risposte delle ragazze scopriamo con sorpresa che loro in realtà vivono questa condizione di molteplicità non come peso ma al contrario, come una ricchezza e una pluralità di risorse.

Come dice Maya Angelou: “È tempo che i genitori insegnino presto ai giovani che nella diversità c’è bellezza e c’è forza.” E quando i genitori non sono in grado di farlo, saranno le seconde generazioni a scoprirlo da sole.

Approfondimenti:
Huda, nessuna e centomila, episodio 1 “Da dove vieni davvero?”
The bottom up, Il conflitto identitario delle seconde generazioni: un mondo, due culture


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